venerdì 18 settembre 2009

Robert Fripp: Network (1987)

La crudeltà visiva di questo artwork risiede essenzialmente nel suo ottantismo minimale, nella frustrante e quantomeno discutibile volontà di trasporre attraverso l'immagine di Fripp l'essenza aliena e sperimentale della sua musica.
Quanto sia improbabile l'operazione è chiaro sin dalla prima occhiata: Fripp appare congelato in una posa robotica, una ponderazione a metà tra l'invito a danzare sulle sue iridiscenti onde soniche ed un tentativo plastico di elemosinare qualche spicciolo.
Facilmente confondibile con uno scarto di copertina per un Lp di Julio Iglesias o di qualche attempato neo-melodico napoletano, questo concept si distingue essenzialmente per essere uno dei peggiori scimmiottamenti di "Big Science" di Laurie Anderson (cliccare qui per credere).
Decisamente la modesta proposta della rinnovata immagine "new wave" di Robert Fripp s'infrange pietosamente contro il mediocre abbiglio del chitarrista: appropriato per una serata danzante in qualche squallida balera di periferia piuttosto che per una esecuzione di rock ambientale d'avanguardia.

3 commenti:

Emma ha detto...

Mi ricordi, peraltro, le dissertazioni semiotiche del caro, vecchio Roland Barthes.
Ora smetto di spammare, anche perché non ci sono altri post su cui farlo :)

Tiziano ha detto...

Ti ringrazio per l'accostamento ma se ci sentisse il caro Roland di sicuro cappotterebbe nel suo loculo :)

Emma ha detto...

Secondo me apprezzerebbe, lui che ha scritto sulla frangetta dei Romani al cinema :)

 

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